PER CHI AMA CAPIRE FINO IN FONDO
Non è solo una questione di rispetto dei diritti umani… La lettera di Mariateresa Bianca, che segue l’estratto dal discorso del Dalai Lama, illustra con grande chiarezza il preoccupante futuro che la politica cinese sta disegnando per tutti noi. Vi consiglio di cuore di leggerla, perché contiene un scorcio del programma di governo cinese di cui poco si parla.
E che spiega l’ingente investimento di capitale nella costruzione di gigantesche infrastutture che vidi nel mio viaggio in Tibet nel 2004.
Il tema del mancato rispetto dei diritti del popolo tibetano è per il governo cinese il conveniente paravento dietro il quale nascondere un programma che porterà conseguenze pesanti sull’economia e l’ambiente di tutti i paesi “oltremuraglia”, il nostro compreso. Un modo per deviare l’attenzione su temi umanitari, impedire “per questioni di sicurezza” i sopralluoghi non spirituali in Tibet e assicurarsi maggior agio nella realizzazione di ben altri progetti oltre a quello del genocidio di una minoranza.
Una riflessione, un’ipotesi…
DISCORSO DI S.S. IL XIV DALAI LAMA DEL TIBET “Troppe bugie, sul Tibet il mondo cerchi la verità” Dharamsala (India), 7 aprile 2008
Dal 10 marzo di quest’anno stiamo assistendo a molteplici proteste e dimostrazioni in molte zone del Tibet – e perfino di studenti in alcune città della Cina – che rappresentano il punto di esplosione di un’angoscia fisica e psicologica provata per lungo tempo dai tibetani, nonché l’espressione di un profondo risentimento contro l’oppressione dei diritti umani del popolo tibetano.
Risentimento per la mancanza della libertà religiosa, per il tentativo di distorcere in ogni occasione possibile la verità. (…) L’uso delle armi e della violenza per reprimere e disperdere le manifestazioni pacifiche del popolo tibetano mi rattrista profondamente. Tali interventi hanno scatenato disordini in Tibet, hanno provocato molte vittime e moltissimi feriti, molteplici arresti. (…) Di fronte a questo io mi sento del tutto impotente. Prego per tutti i tibetani e i cinesi che hanno perso la vita.
Le recenti proteste in tutto il Tibet hanno non soltanto contraddetto ma anche fatto a pezzi la propaganda della Repubblica popolare cinese, secondo la quale ad eccezione di pochi “reazionari” la stragrande maggioranza dei tibetani vive una vita prospera e felice. Queste proteste hanno invece chiaramente evidenziato che i tibetani di tre province – U-tsang, Kham e Amdo – hanno le stesse aspirazioni e speranze. Inoltre hanno fatto comprendere al mondo intero che la questione tibetana non può più essere trascurata. (…) Il coraggio e la determinazione dei tibetani che hanno rischiato il tutto per tutto (…) sono molto ammirevoli e l’opinione pubblica internazionale ha compreso e sostenuto lo spirito di questi tibetani. (…)
Presidenti, primi ministri, ministri degli Esteri, Premi Nobel, parlamentari e cittadini preoccupati di ogni angolo del mondo stanno inviando un messaggio forte e chiaro alla leadership cinese affinché ponga immediatamente fine alla violenta repressione contro il popolo tibetano. Hanno incoraggiato il governo di Pechino a seguire una strada per raggiungere una soluzione reciprocamente vantaggiosa. Dovremmo creare l’occasione affinché i loro sforzi diano risultati positivi. So che siete provocati a ogni livello possibile, ma è importante che vi atteniate alla pratica della non-violenza.
Le autorità cinesi hanno fatto dichiarazioni menzognere contro di me e contro l’Amministrazione Centrale Tibetana, accusandoci di aver istigato e orchestrato gli avvenimenti in Tibet. È assolutamente falso: io ho ripetutamente lanciato appelli affinché un ente indipendente e internazionale si facesse carico di un’inchiesta approfondita per valutare quanto è accaduto. (…) Se la Repubblica Popolare Cinese ha in mano prove e testimonianze a supporto delle affermazioni fin qui fatte, dovrebbe renderle note al mondo intero. Fare dichiarazioni non supportate da prove non è sufficiente.
Per il futuro del Tibet, ho deciso di trovare una soluzione nell’ambito della Repubblica Popolare Cinese: dal 1974 sono rimasto fedele all’approccio reciprocamente vantaggioso della Via di Mezzo. Ormai il mondo intero lo conosce: significa che tutti i tibetani devono essere governati da un’amministrazione che goda di una significativa autonomia regionale e nazionale, con tutto ciò che questo comporta – autodeterminazione, piena responsabilità decisionale – tranne che per le questioni inerenti alle relazioni estere e alla difesa nazionale. Tuttavia, sin dall’inizio ho detto che i tibetani hanno il diritto di decidere il futuro del Tibet.
Ospitare i Giochi Olimpici quest’anno è motivo di grande orgoglio per il miliardo e duecento milioni di cinesi. Fin dall’inizio ho appoggiato la decisione di disputare le Olimpiadi a Pechino. La mia posizione è immutata. Credo che i tibetani non dovrebbero ostacolare in nessun modo i Giochi: ma è diritto legittimo di ogni tibetano lottare per la propria libertà e il rispetto dei propri diritti. D’altro canto, sarebbe inutile e non gioverebbe a nessuno se facessimo qualcosa che creasse odio nell’animo del popolo cinese. Al contrario: dobbiamo favorire la fiducia e il rispetto nei nostri cuori al fine di creare una società armoniosa, in quanto essa non può nascere sulla violenza e l’intimidazione.
La nostra lotta è contro alcuni esponenti della leadership della Repubblica Popolare Cinese e non con la popolazione cinese. Pertanto non dovremmo mai dare adito a incomprensioni o fare qualcosa che possa nuocere alla popolazione cinese. (…)
Se l’attuale situazione in Tibet dovesse perdurare, temo che il governo cinese possa esercitare ancora più forza e aumentare l’oppressione del popolo tibetano. (…) Ho ripetutamente chiesto alla leadership cinese di fermare immediatamente l’oppressione in ogni zona del Tibet e di ritirare i suoi soldati e le sue truppe armate. Se ciò desse risultati, consiglierei ai tibetani di interrompere le proteste.
Voglio sollecitare i miei concittadini tibetani che vivono fuori dal Tibet a essere quanto mai vigili. (…) Non dovremmo impegnarci in nessuna azione che possa anche minimamente essere considerata violenta. Perfino in presenza di provocazioni, non dobbiamo mai permettere che i nostri valori più preziosi e profondi siano compromessi. Credo fermamente che conseguiremo il successo seguendo la strada della non-violenza. Dobbiamo essere saggi, comprendere da dove nascono l’affetto e il supporto dimostrati senza precedenti per la nostra causa.
Infine, desidero ripetere ancora un’ultima volta il mio appello ai tibetani affinché pratichino la non-violenza e non si allontanino mai da questo cammino, per quanto grave possa essere la situazione.
(Discorso pronunciato a Dharamsala, India, il 7 aprile 2008. Traduzione di Anna Bissanti)
LETTERA APERTA DA DHARAMSALA, INDIA Da Mariateresa Bianca, 14 aprile ‘08, Dharamsala, India
All’Hotel Ahok in New Delhi, il giorno 27 marzo, 2008, ho sentito un tonfo al cuore e un’ondata di tristezza quando Sua Santità, il XIV Dalai Lama, rispondendo alla domanda di Piero Cerri, un vecchio studente di buddismo tibetano, sul cosa possiamo fare per contribuire ad una soluzione pacifica della questione tibetana, ha risposto che il Tibet, insieme alla sua ricca eredità culturale è in via di estinzione, sta morendo.
Non che non lo sapessimo, ma queste poche parole, pronunciate con un lungo sospiro, mi hanno spezzato il cuore e mi hanno fatto decidere che dobbiamo e possiamo fare qualcosa.
Per tutti quelli che sono stati toccati, in un modo o nell’altro, direttamente o indirettamente, dal buddismo tibetano in generale e da S.S. in particolare, questo e’ il momento di darsi da fare, altrimenti potrebbe essere troppo tardi.
Chi è stato toccato senz’altro sentirà questa chiamata, ma anche chi non ha avuto particolari connessioni sentirà un forte senso di ingiustizia leggendo le notizie e argomentazioni che ho raccolto qui di seguito.
La prima e più importante ragione di fare qualcosa per salvare la ricca cultura tibetana è che in essa sono contenuti insegnamenti che hanno la potenzialità, se messi in pratica, di contribuire in modo significativo a risolvere molti dei problemi che l’umanità, ma anche il mondo vegetale e animale, stanno sperimentando oggi.
La dimostrazione del tipo di trasformazione che questi insegnamenti hanno la capacità di operare era di fronte a me quel giorno all’hotel Ashok !!
Durante il discorso pronunciato a Washington in occasione del conferimento della medaglia d’oro, S.S. ringraziando tutti disse che i valori umani che è sempre impegnato nel promuovere, gli sono stati trasmessi prima da sua madre e poi dai suoi maestri, e sottolineò che era grazie all’ambiente culturale in cui era cresciuto che aveva avuto la possibilità di essere prima esposto a quelle qualità interiori e poi di aver potuto coltivarle.
Questo dimostra come sia anche nostra la responsabilità di contribuire alla salvezza di questa cultura che è da considerare “un patrimonio dell’umanità” e come tale dovrebbe essere protetta.
Proteggere questo antico gioiello che ha la capacità di rispondere a molti dei quesiti moderni comincia dall’informarsi sui fatti; diventa nostra responsabilità cercare le notizie veritiere.
Dal punto di vista della storia moderna, il Tibet è stato vittima di una delle più pesanti manovre colonialiste degli ultimi 50-60 anni.
Un immenso territorio (non solo quello che va sotto il nome di TAR: Tibetan Autonomous Region, ma tutte quelle aree a cultura tradizionalmente tibetana annesse direttamente alla Repubblica Popolare Cinese e che sono grandi due volte il TAR ed inglobate oggi nel Qinhai, Sichuan, Gansu e Yunnan), con i suoi abitanti, risorse naturali, specie vegetali e animali rarissimi hanno cambiato proprietà passando dalle mani dei suoi legittimi e originali proprietari a quelle di una delle più potenti e popolate nazioni della terra.
Non che questo non fosse già avvenuto nel passato in scala altrettanto grande, ma il Tibet è stato uno degli esempi più recenti di una politica colonialistica obsoleta e datata che impone di appropriarsi della terra del proprio vicino di casa per raggiungere l’obiettivo della propria sicurezza nazionale.
Con la conseguenza però che percentuali sempre più alte del bilancio nazionale devono essere spese per continuare a garantirsi il possesso di questi territori.
Comunque sotto gli occhi di India, Inghilterra, America e Russia che facevano finta di non vedere, avendo altri punti sulla loro agenda con la Cina, l’invasione, violazione e annessione del Tibet avvenne tra il ’49 e il ’59.
Quella volta il mondo girò le spalle al Tibet, ma oggi, grazie a una nuova consapevolezza dell’umanità nel suo conplesso, possiamo evitare di ripetere lo stesso errore poiché ci rendiamo conto che la perdita di questa cultura è una nostra perdita e il genocidio di questo popolo è come l’uccisone di una parte di noi ed entrambe sono cose inaccettabili !
Il genocidio del popolo tibetano sta avvenendo con grande rapidità attraverso il trasferimento di popolazione cinese e il conseguente tentativo di assimilare i tibetani ai cinesi.
Le cifre sono allarmanti: nella capitale, Lhasa, i tibetani rappresentano già oggi solo una minoranza della popolazione, circa un terzo e la tendenza in corso porta solo a peggiorare la situazione. Secondo fonti attendibili, dopo i giochi olimpici, un nuovo milione di cinesi verranno a stabilirsi nel TAR.
Anche dal punto di vista ambientale c’è motivo di essere molto preoccupati dell’irresponsabile politica cinese sul territorio tibetano considerando i danni, che da essa derivano e che tutti noi dobbiamo subire.
Con la stessa velocità con cui procede l’economia cinese, procede anche la deforestazione che sta creando un effetto di desertificazione sull’altopiano tibetano con risultati osservabili anche da immagini satellitari, dove si nota una colonna di aria calda che si innalza dalle regioni orientali tibetane e che va a disturbare le forti correnti d’aria stratosferiche, o come pure il riscontrato scioglimento di molti ghiacciai.
L’attivita’ di deforestazione ha ridotto l’area coperta da foreste del 30 o 40%, a seconda delle regioni, tra il 1950 e il 1985. Inoltre strade continuano ad essere costruite per raggiungere le regioni più isolate da disboscare con ulteriore distruzione dell’habitat naturale.
Per non parlare della situazione dell’acqua con il terrificante doppio progetto di deviare le acque e costruire la più grande stazione idroelettrica nel mondo sul fiume Yarlung Tsampo (Brahamaputra) che avrebbe conseguenze catastrofiche per tutti i paesi orientali bagnati attualmente dalle sue acque che resterebbero a bocca asciutta o sarebbero ridotti a ricomprare dai cinesi l’acqua se questo progetto dovesse essere intrapreso nel 2009.
Il progetto include l’uso di materiale nucleare nelle esplosioni (PNE: Peaceful Nuclear Explosion) necessarie per costruire un tunnel di 10 miglia attraverso il monte Namcha Barwa come pure l’inondazione e conseguente scomparsa dello straordinario e non ancora completamente classificato habitat del canyon “della Grande Curva” che solo recentemente è stato esplorato a fondo e dichiarato il più lungo e profondo canyon nel mondo.
Quest’area si chiama in tibetano Pema Ko ed è stata considerata sacra da generazioni di tibetani.
La problematica insita nell’irresponsabile uso dell’acqua da parte delle autorità cinesi non può essere sottovalutato considerando il fatto che dall’altopiano tibetano sgorgano tre dei dieci maggiori fiumi del mondo: il Brahmaputra (o Yarlung Tsampo in Tibet), lo Yangtze e il Mekong; come pure molti altri grandi fiumi: il Fiume Giallo, il Salween, l’Arun, il Karnali, il Sultej e l’Indo.
Il 90% delle loro acque scorre a valle in Cina, India, Bangladesh, Nepal, Pakistan, Tainlandia, Myamar, Laos, Cambogia e Vietnam.
Per concludere, è realistico considerare che il problema ambientale tibetano tocca non solo i sei milioni di tibetani, ma i molti altri milioni di abitanti dei paesi confinanti e indirettamente tutti noi, visto che sono state provate le conseguenze a livello mondiale di danni effettuati a livello locale.
Ancora una volta non posso evitare di considerare l’enorme apporto all’umanità costituito dal principio
così spesso citato da S.S., e cioè quello dell’interdipendenza. Non solo dal punto di vista filosofico, come colonna centrale degli insegnamenti buddisti, ma anche per quanto riguarda i tentativi di risolvere problematiche politiche, sociali e ambientali questo principio dell’interdipendenza, patrimonio della cultura tibetana, è altamente significativo e utile.
Solo tenendo conto di questo potremo capire come noi tutti dipendiamo gli uni dagli altri e come sia irrealistico pensare di risolvere i problemi solo a livello locale, riusciremo così ad apprezzare la visione “della Via di Mezzo” proposta da S.S. e dal suo governo in esilio per risolvere la questione tibetana..
Qualcuno pensa che i danni alla cultura e all’ambiente in Tibet siano irreversibili, ma in molti crediamo che non sia ancora tempo di gettare la spugna e che questa non debba rimanere una di quelle cause perse e dimenticate; se una soluzione pacifica verrà trovata velocemente, ci sono ancora margini di possibile guarigione anche se le ferite inferte sono state davvero profonde.
Dicevo velocemente perchè le nuove generazioni educate secondo i principi materialistici della società cinese stanno mostrando di cominciare a perdere quelle qualità interiori che hanno reso S.S. e il buddismo tibetano in generale così famosi.
Durante le rivolte spontanee cominciate il 10 marzo e non ancora finite, sia nel Tar che in Amdo e Kham e persino in certe città cinesi, ci sono stati incidenti di violenza.
Violenza brutale dell’esercito cinese con perdita di molte vite umane, le cifre esatte non sono ancora state accertate; violenze operate da “provocatori travestiti da tibetani” e infine violenze da parte di alcuni tibetani come espressione di una frustrazione comune derivata da anni di umiliazioni, emarginazioni e abusi.
Tutto questo è avvenuto contemporaneamente ad una mancaza degli insegnamenti dei tradizionali valori culturali e spirituali tibetani, perchè etichettati come “retrogradi” e “reazionari”.
Benché questi incidenti siano limitati a pochi individui, come diceva Richard Gere durante un’intervista, è uno degli aspetti più tristi degli ultimi avvenimenti perchè dimostra di quanto i cinesi siano stati capaci.
In quei casi, quei tibetani hanno perso la speranza di una soluzione pacifica e il loro ricorrere alla violenza come rimedio ai soprusi subiti significa soccombere a quella visione ristretta di cui i cinesi si sono fatti portatori. Come diceva S.S., i politici cinesi dovrebbero studiare un po’ di psicologia umana e rendersi conto che con il loro comportamento possono solo aspettarsi reazioni simili.
Se questi episodi di violenza, nella forma di danni agli edifici, negozi e automobili della polizia, sono paragonati alle reazioni di moltissimi monaci e monache che hanno dovuto subire imprigionamento e torture anche per più di 20 anni, ci si rende conto del grande pericolo che anche i cinesi stanno correndo. In quei casi è stato riscontrato con molto stupore che non dimostravano segni di traumi psicologici ma anzi avevano saputo trasformare quei periodi di enormi difficoltà in una palestra spirituale dove incrementare le loro qualità interiori. Questi individui cresciuti all’ombra della millenaria cultura tibetana consideravano la perdita di compassione per i cinesi o il desiderio di arrabbiarsi con loro come il pericolo più serio che avevano dovuto affrontare durante la loro lunga prigionia.
Immaginiamo invece per un momento, come ci consiglia di fare il Prof. Robert Thurman (professore di Studi Buddisti Indo-Tibetani al Departimento di Religione alla Columbia University di N.Y. e padre dell’attrice Uma Thurman) tutto un’altro scenario, uno scenario che, come dice Richard Gere, non è poi così lontano visto che richiede essenzialmente solo un cambiamento nel modo di pensare.
Immaginiamo il presidente cinese Hu Jintao vincere, non l’alloro olimpico, ma il Premio Nobel per la pace per aver deciso di sedersi al tavolo delle trattative ad ascoltare finalmente ciò che S.S. sta dicendo sin dagli anni settanta. Per aver preso con coraggio questa opportunità che “fa tremare la terra”. Per aver capito che è nell’interesse stesso della stabilità, unità e prosperità della Repubblica Popolare Cinese di garantire una autentica autonomia amministrativa ai tibetani delle tre regioni (U e Tsang, Amdo, Kham) con la conseguente libertà per loro di usare la loro lingua, professare la loro religione, conservare il loro distinto modo di vita, trasmettere i tradizionali valori della loro cultura alle nuove generazioni e prendersi cura dell’ambiente secondo i criteri già ampiamente descritti nei loro testi.
Il presidente cinese otterrebbe il massimo riconoscimento internazionale e sarebbe ricordato per questo. Inoltre il governo cinese potrebbe trovare nuove soluzioni, non esplorate finora a causa della loro attuale cecità, ai non pochi problemi sociali interni causati da un’industrializzazione esasperata, da un deterioramento ambientale senza precedenti, da una mancanza di valori morali e concomitante e allarmante aumento della criminalità. Ascoltare S.S. può cambiare completamente la qualità della vita di più di un miliardo di cinesi, aiutandoli a recuperare la loro stessa antica spiritualità e a liberarsi da un modello sociale eccessivamente imperniato su valori materialistici e militaristici.
Insomma immaginiamo che la ragione vinca l’obsoleta e atavica credenza che si possano ancora, nel
21 esimo secolo, vincere guerre con la forza e la brutalità; immaginiamo una vittoria sulla mancanza di speranza che è, ancora citando il Prof. Thurman, il più grande ostacolo per l’umanità.
In quest’era dell’informazione, la lotta per la liberazione deve includere necessariamente la divulgazione e condivisione di informazioni e perciò mi sono permessa di prendere qualche minuto del vostro tempo prezioso chiedendovi di leggere questa lettera aperta e richiedendovi di divulgarla se ve ne sembra il caso.
Bianca Mariateresa
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