FEDERICO RAMPINI
La simbiosi tra capitalismo e regime autoritario non è un caso unico nella storia. è la prima volta però che questa particolare formula di governo della società e dell’ economia si applica su una dimensione così gigantesca, coinvolge il popolo più numeroso del pianeta, e quindi ha effetti di eccezionale rilevanza sulle altre nazioni, nonché sugli equilibri geostrategici e ambientali del pianeta. L’ assetto politico-economico della Cina nella prima fase del XXI secolo suscita un interesse comprensibile. In alcune parti del mondo è stato osservato come un modello-guida, come una possibile ispirazione per altri paesi emergenti. è tuttavia azzardato descriverlo come un modello stabile. Le sfide che deve affrontare sono straordinarie. è ragionevole ipotizzare che la prosecuzione della traiettoria di sviluppo economico, tecnologico, culturale e sociale della Cina richiederà importanti mutamenti anche nel suo sistema politico-istituzionale. Sulle libertà politiche, sul diritto di associarsi, sul potere dei cittadini di cacciare i dirigenti corrotti, il regime resta sostanzialmente immobile dopo la repressione del movimento di Piazza Tienanmen il 4 giugno 1989.
Nel corso degli anni Duemila la Repubblica Popolare ha sperimentato solo un’ innovazione assai limitata: le elezioni dei dirigenti dei villaggi con una molteplicità di candidati. è una riforma dai risultati deludenti perché i candidati sono plurimi, ma quasi tutti iscritti al partito comunista. Il partito si richiude a riccio, in difesa del suo potere esclusivo. Questo non significa che i vertici del regime non si pongano la questione del consenso: il loro uso frequente di sondaggi d’ opinione rivela un’ attenzione reale agli umori dell’ opinione pubblica. Tuttavia questo è un metodo per consolidare la stabilità politica, non per aprire la strada a profonde riforme di sistema. Messa di fronte nel 2008 a una serie di critiche occidentali – per il ruolo cinese nell’ appoggiare il governo del Sudan colpevole del genocidio nel Darfur, per il sostegno di Pechino alla giunta militare in Birmania, per la repressione delle rivolte in Tibet – la Repubblica Popolare ha reagito con una grinta nuova. Rispetto al massacro di Piazza Tienanmen seguito da sanzioni internazionali e da un reale isolamento, la crisi d’ immagine del 2008 si è svolta in un contesto decisamente più solido e rassicurante, visto da Pechino.
Al termine della prima decade del XXI secolo la Repubblica Popolare non è affatto isolata come nell’ 89. Ha stretto da tempo delle partnership intense e proficue – non solo sul terreno economico ma anche nella sfera diplomatica e in vaste aree di cooperazione – con gli Stati Uniti, l’ Unione europea, la Russia, l’ India. Ha incassato un significativo disgelo con il Giappone. Dalla Corea al Pakistan in tutta l’ Asia la sua influenza è in crescita, come anche in Australia e Nuova Zelanda, in Golfo Persico e nel Medio Oriente, nell’ Africa subsahariana, in America latina.
La crisi tibetana è venuta a guastare la visione idilliaca della “società armoniosa” che Hu Jintao proclamava di voler costruire sia all’ interno del suo paese che nelle relazioni internazionali. Di colpo la propaganda del regime ha rispolverato toni e metodi nazionalisti che evocano un grande balzo all’ indietro. Anche l’ Occidente peraltro ha rischiato di regredire in una visione stereotipata della Repubblica Popolare. Il paese più popoloso del mondo in certe proteste occidentali è stato descritto quasi come uno Stato-lager, una Corea del Nord o una Birmania. Vista dai cinesi questa rappresentazione è assurda. La Cina non è un regime del terrore. Lo spazio delle libertà personali nella Repubblica Popolare si è ampliato enormemente dagli anni ‘ 80 in poi: la libertà di scegliersi gli studi, di viaggiare all’ interno del paese e all’ estero, la libertà di costumi, la libertà sessuale.
Restano gravi limiti per la libertà di espressione, di religione, e per altri diritti umani a cominciare dall’ habeas corpus, il diritto alla certezza della legge, a una magistratura indipendente e a un processo equo. La maggioranza dei cittadini cinesi sa di vivere oggi in un paese piuttosto rilassato e sereno, non solo in confronto al terrore che vigeva sotto le Guardie rosse durante la Rivoluzione culturale (1966-1976), ma anche rispetto alla Cina dei primi anni ‘ 80.
La base di consenso reale che i dirigenti comunisti hanno nel paese poggia su due pilastri: da una parte la crescita economica, dall’ altra il nazionalismo.
Un incidente di percorso della crescita economica, incrinando il primo pilastro del consenso, potrebbe inaugurare una fase nuova e riaprire il dibattito sulla democrazia.